Era mattino presto, il freddo era immobilizzante. Perché per una gocciolina come me il freddo può anche diventare ghiaccio.
Avevo trascorso la notte tra le braccia di una foglia verde ed ora scorrevo. A quest’ora della giornata, tra il buio della notte e le prime luci dell’alba, mi viene sempre difficile di essere ottimista, di continuare a sperare.
Sperare di divenire il mare…
E mentre scorrevo, speravo. Scorrevo, speravo, scorrevo, speravo.
Un giorno mi ero fermato nel fango, e con lui ho distrutto tutto ciò che incontravo lungo la strada. Un altro ero finito in uno stagno, bello sì, ma sempre fermo.
Poi il caldo forte della stagione arida mi porto al cielo. Era bellissimo, giocavo con le nuvole, ballavo ai tramonti coi ciuffi di vento e dormivo la notte sull’ovatta soffice da manto di pecora. Il cielo era la mia casa, azzurro e calmo.
Troppo bello, ero felice!
Poi arrivarono i venti freddi che si scontrarono con la nostra oasi calda, avevo paura, i fulmini tagliavano il prato su cui giocavo, tutto era buio, freddo, tutto tremava. D’improvviso sparì tutto il bianco soffice su cui avevo trascorso l’ultimo periodo ed caddi.
Caddi…
Finì in una palude abitata da zanzare e grilli, che rumore assordante! Ma ben presto mi ci abituai e trascorrevo le giornate saltellando tra un ramo di bambù ed un chicco di riso. La notte il suono dei grilli prese il posto del rumore e anche quella vita mi iniziava a piacere, le stelle in alto mi parlavano dei miei sogni che avevo messo oramai da parte.
Loro ci credevano, io no…
Ed un mattino con un chicco di riso me ne andai in un secchio. Lui era terrorizzato, anche io avevo un po’ paura. Lui mi parlava di bocche di umani in cui sarebbe entrato e mai più uscito. Cercavo di rassicurarlo, di spiegargli la mia vita, dei miei giri, del ciclo della mia vita. Ma lui non capiva, aveva paura. Venimmo caricati su di un furgone e portati in città.
I colori della natura non c’erano più, c’erano le tonalità della città. Grigio, antracite, fumo, bianco sporco, marrone chiaro, arancione che una volta doveva essere un bel rosso, verde petrolio.
Finimmo in una fabbrica, dove ci separarono. Ricordo ancora, un caldo tremendo. Il chicco non parlava più ed io d’un tratto lo lasciai, quasi come uno spirito che lascia il suo corpo. E volavo, volavo in alto.
Ero vapore…
Ma durò poco, mi fermai presto in una nuvola grigia e divenni pioggia. Per giorni e gironi piovve, ed anche io mi dovetti riparare, una radice divenne la mia casa. Tra terreno e rami scorreva la mia nuova vita. Ora ero terra, ora fango, ora linfa.
Non ero nato per diventare mare…
Volevo esserlo ma sognare è da sciocchi, sperare da deboli. In fondo ero acqua, una semplice gocciolina. Non ero altro. La mia vita era questa.
Il vento mi spazzava via, ed era giusto così. Che ci fossi o meno non cambiava nulla. Cambiavo spesso luogo ma sempre tra radici, fango ed alberi restavo.
Le nuvole grigie sparirono ed ogni tanto riuscivo anche a vedere un fascio luminoso che giungeva dal cielo. Ero triste, anche se mi piaceva guardare il sole, mi ricordava i miei momenti giocosi tra le nuvole.
Ed alla sera il buio quasi mi diede sollievo perché mi tolse i sogni che non avevo.
Ero tra le braccia della foglia…
Scesi e finì su di un sasso che mi lasciò scivolare verso i suoi amici. Scendevo…
La mia vita, una salita ed una discesa, tutto ciò per mille volte, per l’eternità.
Man mano che scorrevo sulle pietre ero torrente, e le pietre mi sussuravano quasi come carezze, io per loro e loro per me. L’uno per l’altro, l’altro per l’uno. Mi fecero sentire il rumore del mare, perché loro riuscivano a comunicarselo. Io non lo conoscevo, il mio sogno ma volevo esserlo.
E le carezze divennero spinte, sproni…
I sussurri erano incitamenti. ” Vai, non mollare”! Ogni volta che sbattevo contro una roccia, tornavo indietro e la pietra mi diceva “VVVVaiiiiiiiii”, ” CCCCCiii seeeeeiii”.
Quanti sbattimenti, quanto dolore. Piangevo perché era troppo dura. Una cascata mi tolse il respiro, cadevo di nuovo. Cadevo, cadevo, cadevo. La mia vita era così, macché speranza, illusioni, sogni. Ma basta! In fondo quando ero nella palude, nello stagno, nel fango, sotto terra non era male. Ero come tutti gli altri. Ma cosa volevo, il mare, ma vaaaaaa, povero illuso. Ora cadevo, ero dolorante, soffrivo. Per cosa ? Per la solita caduta, come tutte le altre, perché la mia vita era cadere, scendere.
Plaffffffffffffffff, il tonfo della caduta spezzo i miei pensieri, il mio sconforto, quasi ero felice di aver interrotto il solito dolore per ritornare nel terreno viscido.
Poi, il blu…
Non capivo nulla, ero io. Ero iooooooooooooooooooooooooooo. Ero vita, il mareeeeeeeeeeeee.
Ero feliceeeeeeee, piangevo. Ce l’avevo fatta.
Mi abbraccia al sale e divenni onda.
Onda, forza, energia ma anche carezza e suono.
Perché ciò che fa male non sempre è fine ma inizio.
[N.Iac]